Anno didattico 2006-2007 – Restauro delle lunette affrescate del Chiostro della Chiesa di San Francesco a Padova

Per quanto concerne lo specifico del lavoro svolto nel corso dell’anno formativo 2006-2007 dagli studenti del corso per “Collaboratori Restauratori dei Beni Culturali” (Cod. Intervento 046 Tipo FS/QAN, approvato con DGR n. 911 del 15 dicembre 2005) esso ha previsto e svolto l’intervento conservativo di dodici lunette, sei delle quali sul lato nord-est ed altre sei sul lato sud-ovest nel Chiostro della Chiesa di San Francesco a Padova.

Cenni storici

Il ciclo pittorico ivi presente è databile intorno al XVII secolo, non vi è purtroppo alcun documento che indichi con precisione la paternità dell’opera. Diversi sono gli studiosi che hanno tentato di assegnare un nome all’autore dei dipinti e per una parte di essi, è quello di Pier Antonio Torri, artista bolognese considerato in questo ciclo pittore di non grande impegno e valore (Francesco Cessi 1975).  Altri ipotizzano vi sia la mano di Bernardino e/o Bernardo Muttone detti rispettivamente il vecchio e il giovane in quanto padre e figlio.

Il ciclo di dipinti secenteschi illustra in successione la vita ed i miracoli di Sant’Antonio da Padova è diviso in lunette.  Le vicende sono inserite entro un’architettura ideale ad arco a sesto ribassato che segue le linee dell’architettura reale delle vele

Per quanto riguarda la tecnica di esecuzione, l’ampiezza degli spazi lascia supporre che l’assenza di  divisioni in giornate implica una realizzazione quantomeno a mezzo fresco dell’opera, ovvero con la stesura dei pigmenti legati a calce su intonaco asciutto.

Stato di conservazione

I dipinti presentavano una certa omogeneità nello stato di conservazione senza che si evidenziassero particolari differenze tra le diverse lunette, fermo restando che la sesta  risultava essere a tal punto lacunosa da potersi definire lacerto.

L’analisi di cromatografia ionica (IC), ha infatti evidenziato la presenza di Sali solfati sia sulla superficie che nell’intonaco.  La presenza all’interno del “microcosmo dipinto” di suddetti Sali aveva creato il cosiddetto effetto pitting sulla superficie.  Tale processo è stato aiutato dalla presenza sulla superficie di uno strato proteico, probabilmente steso durante un precedente intervento di fissaggio della pellicola pittorica (forse quello degli anni ’70) che è stato rilevato anche dalle analisi di laboratorio.

La coesione degli strati di intonaco tra loro ed in rapporto con la struttura muraria risultava parzialmente soddisfacente.

Sempre derivazione dei precedenti interventi erano le stuccature di risarcimento delle lacune dell’intonaco, fortunatamente eseguite a calce e la riadesione di parti della cornice.

Intervento

Gli affreschi sono stati sottoposti ad una prima pulitura meccanica leggera eseguita con pennelli a setole morbide e spugne Wishab. Questa banale operazione ha permesso altresì di constatare la coesione della pellicola pittorica che è risultata sufficiente a procedere alle fasi successive senza l’azione di un fissaggio preliminare.

La fase di pulitura ha previsto la stesura ad impacco, con supportante polpa di cellulosa, di carbonato d’ammonio saturo per tempi prolungati.  I residui dello strato proteico suddetto, che con l’uso del carbonato d’ammonio avevano provocato uno sbiancamento superficiale legato alla rottura  parziale dei legami, sono stati rimossi con l’uso di un tensioattivo.

Successivamente si è passati alla fase di consolidamento in profondità per ovviare ai distacchi degli strati costitutivi l’opera, mediante iniezioni di maltina liquida.

Si è passati poi alla fase di stuccatura per eliminare i possibili passaggi per infiltrazione dell’acqua di condensa sulla superficie.

Il ritocco pittorico, per ripristinare una leggibilità dell’opera, è stato l’ultimo e più laborioso intervento.